Innanzi tutto mi corre l’obbligo di spiegare il titolo metonimico dell’opera presente spartita in due scritti ma congiunta, pur in forme di espressione differenti, da un’unica comune unità di pensiero. Il primo, in forma di saggio storico-critico su alcuni esempi dell’arte plastica in Italia, ha come oggetto per l’appunto la scultura indicata dal mazzuolo (o mazzolo, come si dice in Toscana a rendere forse meglio peso e fatica del suo uso) ed è contrassegnato, specialmente nella parte che giunge fino a Bologna, dalla sua natura di “itinerario federiciano”. In effetti si tratta sopra tutto di un racconto di viaggio funzionale alla raccolta di un consistente patrimonio scultoreo tale da rendere – in particolare con la ricognizione storico-estetica della felsinea Arca di San Domenico – il più possibile evidente il divario fra la nobiltà di quelle sculture e la miseria delle odierne prese in esame sottolineata fin dall’avvio e dalla nota iniziale.
Il secondo, in forma di narrazione letteraria evocata dalla penna quale suo strumento scrittorio per antonomasia, ha come argomento un “incontro immaginario” – e quindi il dialogo “platonico-leopardiano” che ne consegue – fra due grandi uomini. Francesco di Assisi e Federico II di Svevia hanno infatti segnato (come si evince, per l’imperatore svevo nato in Italia, in particolare dalla prima parte del saggio iniziale di questa dilogia) sia la civiltà sia la cultura del proprio tempo nel quale, malgrado la possibile curiosità e il probabile interesse dell’uno per l’altro, quasi sicuramente non si sono mai conosciuti e parlati di persona. Tuttavia l’inconsistenza storica di un loro effettivo incontro non smentisce i verosimili rapporti indiretti tramite anche alcune delle figure co-protagoniste di questo Dialogo che proprio perché immaginario risulta possibile.
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"Non merita di vivere chi scrive solo per sé." (Peter Sagen)